Dan Morrill, Android open source and compatibility program manager, ha scritto in un’email “we are using compatibility as a club to make them do things we want.”. Tradotto, suonerebbe più o meno come “stiamo usando la compatibilità come una clava per fargli fare ciò che vogliamo. Questo apre scenari decisamente poco confortanti. Certo, l’interpretazione nel contesto è tutto, ma questa singola frase è abbastanza schockante di per sè. Questa citazione proviene da una serie di email pubblicate da una corte del Massachusetts in merito alla causa in corso tra Google e Skyhook. Quest’ultima è una società che ha sviluppato una soluzione proprietaria, chiamata XPS, che consente di combinare informazioni provenienti da GPS, WiFi e dati delle celle telefoniche per fornire informazioni estremamente precise all’utente per ciò che riguarda la posizione attuale. Google, con una mossa discutibile, ha deciso di dare lo stop ai dispositivi che Motorola avesse immesso sul mercato che presentassero come unica soluzione per la navigazione e la localizzazione il prodotto di Skyhook, facendo desistere Motorola dall’intenzione di utilizzare XPS e scatenando ovviamente l’ira della società produttrice per i mancati introiti.


Tutto ciò apre molti seri interrogativi sull’effettiva natura “open” di Android: per quanto abbiamo già visto che Google riserva trattamenti preferenziali a partner che rispettino certe regole dettate da Mountain View, è tuttavia sconfortante vedere come per quanto Android venga detto aperto sia Google ad avere l’ultima parola. Il risultato è un trattamento ben differente per coloro che non si adeguano ai dettami. Per quanto la natura open source di Android ne permetta una personalizzazione (quasi) totale, può un comportamento del genere definirsi corretto?

 

[Via phandroid.com]