Tempi duri per il sistema operativo di maggior successo degli ultimi mesi, che potrebbero diventare ancora più duri. Le difficoltà vengono forse da sistemi concorrenti più competitivi? Con nuove caratteristiche, nuove funzionalità, rinnovata versatilità? O anche solo una imperante campagna pubblicitaria? Niente di tutto questo: l’attacco che Android sta subendo non è nel campo di battaglia  tradizionale del mercato degli smartphone e dispositivi di alta mobilità, ma nella aule di tribunale.

È notizia di qualche giorno fa dell’accordo tra Samsung e Microsoft che dovrebbe portare nelle casse della casa di Redmond un tributo per ogni telefono Android venduto dall’azienda coreana. Secondo una stima della banca americana Goldman Sachs, nell’anno fiscale 2012 Microsoft guadagnerà circa 444 milioni di dollari dai proventi di accordi economici con gli OEM che ha attaccato in questi mesi per violazione di brevetti. Si tratta solo di una stima e per giunta sembra poca cosa rispotto agli utili netti di 18.7 miliardi di dollari che la compagnia di Bill Gates ha generato nel 2010, ma è decisamente una bella sommetta se pensiamo che è completamente senza costi di sviluppo e di distribuzione, ed è certamente superiore agli introiti che vengono dalle licenze di Windows Phone 7.

Samsung non è la prima compagnia ad aver accettato un accordo con Microsoft. Già dall’aprile 2010, la taiwanese HTC si era accordata col colosso americano; nell’ottobre, Microsoft denuncia Motorola per violazione di brevetti, e nel marzo 2011 tocca all’azienda editoriale Barnes & Noble, che vende i suoi e-reader Nook basati su Android; lo scorso giugno, Onkyo, General Dynamics e Velocity Micro si sono accordati per il pagamento di royalties a Microsoft; lo stesso è accaduto a Wistron a luglio, mentre Acer e ViewSonic sono altri due produttori che si sono dovuti piegare in questo settembre.

L’intenzione di Microsoft, tutt’altro che velata, è quella di un’intensificazione della politica di denunce e accordi sulla base del suo pingue portfolio di brevetti. Brad Smith, consigliere generale di Microsoft, recentemente aveva detto che “non avevano ancora visto un dispositivo Android che non violasse i loro brevetti”. In un recente tweet, ha invece affermato: “Non abbiamo ancora raggiunto l’inizio della fine delle questioni sui brevetti mobile, forse abbiamo raggiunto la fine dell’inizio“. Annuncio evidente delle future strategie di Microsoft, ben intenzionata a proseguire su questa strada.

C’è da precisare che ben difficilmente Microsoft metterà con le spalle al muro i produttori di telefoni Android, e preferirà sempre accordarsi in via extragiudiziaria, perché in questo modo avrà sempre modo di guadagnare sul successo di Android, con un comportamento che, se parlassimo di interazioni biologiche, sarebbe ben noto agli studiosi.  Se Microsoft attaccasse direttamente Google, non avrebbe niente da guadagnarci, perché Android viene distribuito gratuitamente; d’altro canto, già da tempo Microsoft ha perseguito questa strategia con i distributori di sistemi equipaggiati con Linux. Si faccia attenzione, comunque, che un accordo extragiudiziario non equivale assolutamente ad un’ammissione di colpa da parte delle compagnie, ma solo la volontà, per l’appunto, di accordarsi e di non impelagarsi in lunghe e costose vicissitudini legali. In questo consiste il patent bullying di Microsoft: non importa avere ragione, importa solo costringere l’avversario alla scelta più conveniente.

La strategia messa in atto può funzionare in due sensi: sia come introiti diretti da royalties, sia come accordi commerciali con gli OEM per la produzione di telefoni equipaggiati col sistema operativo di Microsoft, relegato sotto il 2% di market share e ancora incapace di dare segni di rimonta (almeno finché non arriveranno i modelli di Nokia). In ogni caso, Android ha solo da perderci, perché all’atto pratico i produttori saranno sempre meno attratti da un sistema operativo distribuito gratuitamente ma che, all’atto pratico, presenta dei costi. In seguito all’accordo tra Samsung e Microsoft, un portavoce di Google ha affermato: “Questa è la stessa tattica che abbiamo visto varie volte da Microsoft. Mancando il successo nel mercato degli smartphone, si riducono a misure legali per estorcere profitto dai traguardi altrui e frenano il ritmo dell’innovazione. Noi rimaniamo concentrati nello sviluppare nuove tencologie e nel supportare i partner di Android.

Un’altra azienda che negli ultimi mesi non si sta comportando meno da patent bully è Apple. L’intento della compagnia di Cupertino, però, è completamente diverso e mirato a togliere dal mercato i concorrenti. Nelle ultime settimane, gli sforzi di Apple si sono concentrati soprattutto con Samsung, che senza dubbio è il più accreditato produttore capace di guadagnare il vertice sia nel mercato degli smartphone, sia in quello dei tablet. Le azioni si susseguono con esiti alterni per Apple: in ambito europeo, il Galaxy Tab di Samsung è stato bloccato alla vendita in Germania, ma solo se non importato, mentre in Olanda Apple ha perso su tutta la linea la guerra sul design dei dispositivi della casa coreana (e mettendo in serio pericolo la validità dei community design su cui si sono basate le sue denunce). In Australia, Samsung ha dovuto bloccare la vendita del Galaxy Tab, ma ora pare intenzionata a distribuirlo spogliato delle caratteristiche che avevano dato fastidio ad Apple e proponendo un accordo con Cupertino. Nel frattempo, la casa coreana ha controdenunciato Apple in Francia, in Olanda, in Corea, in Giappone, negli Stati Uniti e nella stessa Australia.

Samsung non è l’unico produttore denunciato da Apple, naturalmente. Un altro tra i maggiori è HTC, che di recente ha ricevuto il supporto di Google in termini di portfolio di brevetti per controdenunciare Apple e verosimilmente preparare un terreno più morbido per un accordo tra le parti.

L’ultimo fronte scottante per Android riguarda la spinosa questione della denuncia di Oracle. La vicenda si trascina tra alti e bassi: Google cerca ancora di far sparire dagli atti la bozza di email di Liedholm (che ricordo essere un’email confidenziale successiva alla denuncia di Oracle) e di screditare le stime dei danni del denunciante, mentre Oracle accusa Mountain View di aver fatto comparire tra i risultati del suo motore di ricerca dei documenti riservati che Oracle stessa aveva reso pubblici (sì, avete letto bene).

Il gigante dei database ha di recente proposto un elenco di 15 punti da esaminare durante il processo, contro le 132 (centotrentadue!) richieste iniziali. Il giudice William Alsup aveva chiesto di ridurre il numero a soli tre. Il processo durerà tre settimane (mica come in Italia…) e non è chiaro dove si troverà il tempo di discutere di tutto.