Il più grande avversario di Samsung è Apple. La società di Cupertino ha stupito tutti presentando il nuovo iPad con una GPU migliorata e una CPU fondamentalmente uguale a quella del predecessore. La sfida pare quindi essere stata spostata dalla Mela più verso la grafica che verso la capacità computazionale della CPU. Samsung pare essere pronta a rispondere adeguatamente sotto questo punto di vista, e non solo. Il successore del Galaxy S II e l’ormai-si-sa-che-esiste Galaxy Tab 11.6 avranno con ogni probabilità un processore Exynos 5250, che sarà tra i primi della società koreana ad adottare la nuova architettura ARM Cortex-A15 e la nuova GPU Mali-T604. La combinazione delle due promette di essere esplosiva e di non lasciare spazio ai concorrenti: al momento dell’uscita, ovvero presumibilmente nella prima metà dell’anno, Samsung avrà il processore mobile più potente a disposizione sul mercato che sarà in grado di falciare qualunque concorrenza.

La società koreana sembra abbastanza decisa nel continuare ad utilizzare le GPU progettate da ARM: Massimiliano Villani, senior manager del marketing mobile presso Samsung, ha dichiarato in un’intervista che “abbiamo effettuato benchmark con parecchie GPU e abbiamo scoperto che l’architettura della famiglia Mali fornita da ARM è oggigiorno la migliore per prestazioni della GPU.” La GPU Mali-T604 sarà in grado di produrre prestazioni 5 volte superiori alle precedenti generazioni e sarà scalabile fino a 4 core. Se la scelta di Apple di introdurre una GPU quad core appare logica, pensando al display da 2048×1536 pixel (il doppio del precedente modello), così può apparire logica la transizione di Samsung verso una GPU di simile potenza: lo schermo del Galaxy Tab 11.6 sarà con ogni probabilità a risoluzione 2560×1600, una risoluzione doppia rispetto all’attuale 1280×800 comune sulla stragrande maggioranza dei tablet con schermo da 10 pollici di diagonale.

La “corsa alla definizione” inaugurata due anni fa da Apple con il Retina Display sembra assurda come la “corsa ai gigaHertz” inaugurata da Intel nel lontano 2001 con i primi modelli di Pentium 4 Willamette. Sicuramente la qualità visiva è migliore su schermi con risoluzione maggiore e, dunque, più definiti, ma fino a che punto ce n’è realmente bisogno? Quanto segue è una mia personale opinione derivata dall’esperienza: io sono in grado di vedere la differenza tra AMOLED e TFT LCD a occhio nudo, poichè noto le “seghettature” presenti sugli schermi AMOLED, tuttavia non vedo alcuna sostanziale differenza tra il mio HTC Desire Z (800×480 su 3.7″) e un iPhone 4 (960×640 su 3.5″). Già sul mio smartphone trovo realmente difficile trovare segni di seghettature, poichè già con una risoluzione di 800×480 è impossibile distinguere il singolo pixel. Dunque a che pro continuare ad aumentare la risoluzione?

Un aumento di risoluzione implica, per ovvie ragioni, un maggiore sforzo da parte di CPU e GPU: i pixel da gestire aumentano enormemente all’aumentare della risoluzione. Se uno schermo da 1280×800 contiene 1’024’000 pixel, uno schermo da 2560×1600 ne contiene 4 volte tanto (4’096’000)! L’ovvio problema è relativo all’energia: un dispositivo con schermo ad alta risoluzione consuma più energia di uno con schermo a bassa risoluzione. Il progresso fa sempre bene, ma quale è il confine dove diventa solo marketing?

Fa piacere vedere Samsung impegnata nel portare più in là i limiti tecnologici (il motto “pushing boundaries” usato al CES), ma speriamo che ciò non sia fine a se stesso e porti vantaggi concreti e reali a noi utenti – anche se tutto ciò comporterà, ovviamente, un esborso maggiore…