Siamo governati dal marketing, questo è ormai assodato. Quanto è però importante tutelare la propria immagine durante i processi? A quanto pare molto, o quantomeno abbastanza da far sì che le parti in causa siano costrette a rivelare chi è stato pagato per fare reportage (leggi “scrivere essendo palesemente di parte”) durante il processo. Che si tratti di blogger, di giornalisti, di riviste, della zia del cugino della signora Gesualda non importa, bisogna riportare tutto.

A quanto pare, secondo quanto emerso dalle dichiarazioni di Oracle e Google, la prima ha pagato un blogger mentre la seconda non ha avuto questa esigenza. Oracle ha dichiarato di aver pagato Florian Mueller di FOSS Patents e nessun altro. Google, invece, ha dichiarato di non aver pagato nessuno nonostante le accuse di Oracle di “mantenere un netword di «influenzatori» diretti e indiretti per promuovere l’agenda sulla proprietà intellettuale di Google”.

Ovviamente Google ha negato una tale eventualità.

Neither Google nor its counsel has paid an author, journalist, commentator, or blogger to report or comment on any issues in this case. And neither Google nor its counsel has been involved in any quid pro quo in exchange for coverage of, or articles about, the issues in this case.

Nè Google nè il suo rappresentante legale ha pagato un autore, giornalista, commentatore o blogger per riportare o commentare alcuna parte di questo caso. E né Google nè il suo rappresentante legale è stato coinvolto in alcun quid pro quo in cambio di copertura o articoli sulle questioni di questo caso.

Oltre ad aver pagato Mueller, Oracle dovrà anche pagare 300’000 dollari a Google come risarcimento per le spese legali. Come si suol dire in Italia, Oracle è rimasta “cornuta e mazziata”.