Da ieri su giornali e TV l’espressione “diritto all’oblio” è diventata piuttosto comune: il merito va ad una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha stabilito che i cittadini possono pretendere che il proprio nome non venga associato dai motori di ricerca a risultati ritenuti ” inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti, o eccessivi in relazione agli scopi per cui sono stati pubblicati”.

Ebbene, Google ha deciso di adeguarsi piuttosto rapidamente alla decisione presa dalle autorità comunitarie, pubblicando un’apposita pagina Web (la trovate seguendo questo link) attraverso la quale chi lo desidera può provare ad esercitare il proprio diritto all’oblio.

Il sistema studiato dal colosso di Mountain View non è però automatico: una volta inseriti i dati dagli utenti, questi saranno valutati caso per caso  e solo dopo verrà presa la decisione se rimuovere i link desiderati o lasciare tutto così com’è per tutelare l’interesse all’informazione pubblica (“Durante la valutazione della richiesta stabiliremo se i risultati includono informazioni obsolete sull’utente e se le informazioni sono di interesse pubblico, ad esempio se riguardano frodi finanziarie, negligenza professionale, condanne penali o la condotta pubblica di funzionari statali.”).

Il dibattito, in sostanza, è ancora aperto e probabilmente lo resterà per molto tempo. Basti pensare che nel solo primo giorno le richieste di cancellazione dei propri dati piovute addosso a Google sono state oltre 12.000, il che renderà molto complicata al team incaricato la valutazione dei vari profili per stabilire quali accontentare e quali no.

Diritto all’oblio o tutela all’informazione dell’interesse pubblico?